di Damiano Montanari
Di nuovo ai numeri antecedenti alla pandemia, ha registrato un grande successo: quali sono state le tendenze di Arte Fiera 2023? A parlarcene è il direttore artistico della kermesse, critico e curatore d’arte contemporanea, Simone Menegoi.
Che bilancio trae dalla edizione 2023 di Arte Fiera, tenutasi a Bologna dal 3 al 5 febbraio?
L’edizione è andata bene, anzi benissimo. Non è una valutazione di parte ma il giudizio unanime di chi ha partecipato all’evento, dai galleristi ai collezionisti, dalla stampa ai visitatori. La fiera era ariosa, bella, varia, ed è stata ben visitata, non solo in termini di quantità ma di qualità: parlo di un pubblico interessato e con disponibilità ad acquistare opere. Come numeri, siamo ai livelli pre-pandemia: 50.000 spettatori, 141 gallerie più una serie di espositori nell’editoria. Le gallerie, con due o tre le eccezioni, erano italiane, perché negli ultimi 15-20 anni Arte Fiera si è concentrata sulla scena italiana. Questo non significa che ci precludiamo la possibilità di presentare artisti stranieri o, nel prossimo futuro, di ospitare gallerie straniere in misura più consistente rispetto a quest’anno.
Quali sono state le nuove tendenze?
Fra le fiere italiane, Arte Fiera non è quella specializzata nello scouting; non si sforza particolarmente di registrare le ultime tendenze o di predire quelle future. Riserva le maggiori attenzioni all’arte degli ultimi 70 anni circa, con una particolare insistenza sulle tendenze italiane dagli anni Cinquanta ai Settanta, senz’altro più impegnative economicamente per i collezionisti delle opere di artisti emergenti. Detto questo, uno sguardo selettivo poteva comunque discernere negli stand dei filoni di ricerca recenti, spesso molto interessanti.
Ce n’è uno particolarmente rappresentato?
Abbiamo creato una sezione ad hoc per pittura, un medium che negli ultimi 10-20 anni è tornato ad essere popolarissimo, non solo a livello di mercato – dove in fondo è sempre stato in auge – ma anche di critica. È l’unica sezione del suo genere, non solo in Italia. È stata molto visitata e ci ha dato grandi soddisfazioni. Al suo interno convivevano tendenze molto diverse fra loro, ma direi che la figurazione – una figurazione fluida, ibrida, ma nondimeno nettamente identificabile come tale – spiccava su tutte.
In questo senso la si potrebbe considerare una delle tendenze di Arte Fiera 2023?
Direi proprio di sì.
La scultura come si colloca?
Parlare di media e di tecniche è un po’ problematico oggi. Lo facciamo per la pittura perché ha un’ostinazione tutta particolare nel difendere la specificità del proprio linguaggio, e resiste abbastanza alle contaminazioni. Nel caso della scultura, invece, la contaminazione e l’ibridazione sono di casa: la scultura annette disinvoltamente altri media (fotografia, video, performance, suono…), si estende nello spazio, conquista la dimensione del tempo. Allo stesso modo, la fotografia, a cui era dedicata un’altra sezione salutata con favore del pubblico, è attraversata dal video, dagli NFT, da tutto ciò che ha a che fare con la tecnologia digitale.
Queste contaminazioni sono un aspetto positivo?
Fanno parte dell’evoluzione naturale del linguaggio artistico.
Quali altre tendenze possiamo individuare in Arte Fiera 2023?
Gli ultimi vent’anni, oltre al revival della pittura, hanno registrato un altro vistoso ritorno, quello di una tecnica a lungo considerata minore e più adatta alle arti decorative e al design che alle arti “maggiori”: la ceramica. La ceramica è molto popolare presso l’ultima generazione di artisti; l’interesse per il loro lavoro ha suscitato a sua volta un revival dei maestri della ceramica del Novecento. Quest’anno abbiamo dedicato alla ceramica un percorso specifico fra gli stand, che permetteva ai visitatori di attraversare la fiera seguendo il filo conduttore di questa tecnica, dagli artisti moderni che per primi l’hanno riscattata da certi preconcetti – Fontana, Melotti, Leoncillo – fino alle ultime tendenze.
Quanto il mondo dell’arte è interpretato oggi come forma di investimento?
Tanto, soprattutto dalle ultime generazioni di collezionisti. Forse perfino troppo.
Quanto invece si acquistano opere d’arte per adornare e rendere unica la propria casa?
La distinzione fra coloro che comprano opere per arredare la propria casa e coloro che le comprano a prescindere da dove le collocheranno è senz’altro importante. Più a monte, divido i collezionisti in due categorie essenziali: quelli che acquistano secondo il loro gusto, o le mode, o altri fattori, ma senza curarsi troppo dell’eventuale apprezzamento economico che le opere avranno nel tempo; e quelli che comprano considerando anche – o addirittura soprattutto – la possibilità che le opere si rivalutino, e possano essere rivendute con profitto. Questo secondo atteggiamento mi sembra abbastanza diffuso fra le le nuove generazioni, che comprano e rivendono in tempi brevi, con una certa disinvoltura.
Ci sono altre motivazioni che spingono i collezionisti ad acquistare opere d’arte?
Ci sono collezionisti la cui prospettiva è quasi di tipo mecenatistico: usano i loro mezzi economici, di solito notevoli, per costruire collezioni destinate fin da subito a una collocazione museale, sia essa una fondazione privata – creata per lo più dai collezionisti stessi – o un museo pubblico. Sono collezioni che hanno poco o nulla a che fare con il piacere di arredare la propria casa, e che puntano semmai a creare un punto di riferimento culturale. Di questa categoria di collezionisti fa parte senz’altro Enea Righi, uno dei maggiori collezionisti privati di arte contemporanea in Italia. Quest’anno, ad Arte Fiera, mi sono avvalso della sua collaborazione nel ruolo di Managing Director, sulla base di due competenze che possiede a livello non comune: la conoscenza del mondo dell’arte (in particolare del collezionismo e delle gallerie) e le capacità gestionali.
Quale futuro attende Arte Fiera?
Vorremmo consolidare il lavoro fatto sull’Italia, migliorarlo ulteriormente e poi aprirci all’estero; non in modo indiscriminato ma con una visione strategica e obiettivi precisi, puntando a presenze mirate.
Qual è la strategia che avete in mente?
Permettetemi di tenere questa carta coperta, per ora.
Che legame rileva tra arte e mercato immobiliare?
È un legame che esiste da molto tempo, molto forte, spesso non dichiarato. L’arte contemporanea può indiscutibilmente accrescere il valore di un immobile, di un quartiere, di un’intera area urbana. Mi viene in mente l’esempio di un imprenditore edile che colleziona arte contemporanea, e che una quindicina di anni fa, a a Milano, decise di investire su un quartiere ex-industriale e periferico trasformandolo in un distretto per l’arte contemporanea. Invitò ad insediarsi nel quartiere artisti con i loro studi, gallerie e attività legate all’arte contemporanea (editoria, laboratori, eccetera). Questo attirò un pubblico di appassionati e collezionisti, una fascia di persone con reddito alto che creò un trend capace di rivalutare tutta l’area. Alla fine, se non ricordo male, per vari motivi l’operazione ebbe solo in parte l’esito sperato, ma l’esempio, di cui sono stato testimone perché in quegli anni vivevo a Milano, mi sembra quasi un case study. E ovviamente induce a riflettere sul rischio che l’uso dell’arte contemporanea da parte del mercato immobiliare sia, in alcuni casi, essenzialmente strumentale.
L’arte antica quanto invece è appetibile sul mercato immobiliare?
Non è un mercato che conosco granché ma, stando a ciò che sento, a parte eccezioni clamorose registra quotazioni singolarmente basse, ovvero inferiori a quelle dei grandi artisti internazionali viventi. Sono fluttuazioni del mercato che riflettono analoghe fluttuazioni del gusto: l’arte contemporanea ormai è uno status symbol più prestigioso dell’arte antica. Pensi anche alle arti decorative e all’arredamento: i pezzi del Settecento o dell’Ottocento, oltretutto ingombranti e poco adatti alle dimensioni delle dimore di oggi, costano meno del grande design del Novecento, apprezzatissimo e quotatissimo.
L’arte contemporanea può entrare nelle dimore storiche?
Ci è già entrata: l’Italia è piena di dimore storiche che ospitano musei e grandi collezioni di arte contemporanea, dal Castello di Rivoli alla Reggia di Caserta.
Alla luce del forte legame tra arte e mercato immobiliare, non a caso, Campogrande Real Estate ha voluto fortemente una divisione dedicata all’art contract all’interno della propria struttura.